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Il rock e l’allineamento dei pianeti: il ritorno dei Jet

Amati da Springsteen e dagli Stones, si ispirano a Battisti e celebrano “Get Born”: l’intervista
Il rock e l’allineamento dei pianeti: il ritorno dei Jet
Credits: Jason Sheldon

Un fulmine a ciel sereno, 21 anni fa: nel periodo del rock intellettuale di Strokes e Interpol, una band arriva dall’Australia con un album di rock ’n’ roll secco e classico. Più che i Joy Division e i Velvet Underground, citano Iggy Pop e i Rolling Stones: il successo fu tale che finirono proprio ad aprire i concerti della band di Mick Jagger e il loro singolo “Are you gonna be my girl” divenne la colonna sonora di uno spot dell’iPod - al tempo uno dei massimi riconoscimenti possibili.
Con il successo arrivarono anche la pressione e qualche polemica. Nic Cester, frontman e autore, sciolse la band nel 2012, dopo 3 dischi e dopo essersi trasferito in Italia: negli anni successivi avrebbe messo in piedi  nel nostro paese The Milano Elettrica, - che Rockol ha premiato ai suoi Awards. E avrebbe riformato i Jet nel 2017 su richiesta di Bruce Springsteen, per il suo tour australiano.
Non era il momento giusto e non andò bene, racconta, ma quella era un’offerta che non si può rifiutare. Ora, spiega, c’è un allineamento di pianeti, espressione che usa più volte nella nostra chiacchierata: i Jet sono tornati per davvero. A settembre ci sono due date per celebrare “Get born”, il 26 a Milano all'Alcatraz e il 27 a Roma all'Orion. Il disco, ascoltato oggi, suona freschissimo: era fuori dal tempo, lo è ancora Ma nel 2025 arriverà un nuovo album: per ora c’è un singolo, solo in vinile: “Hurry hurry”, sul lato B una cover di “Un’avventura”. Nic è cresciuto ascoltando musica italiana e Lucio Battisti è sempre stato un’influenza per la band.

Partiamo da “Get Born”: cosa ha rappresentato quel disco per te e per voi?
Nella mia vita c’è un prima e un dopo. Tutti gli anni che hanno preceduto l'uscita di quel disco sono stati tra i più felici della mia vita, le canzoni le ho scritte che avevo 18-20 anni. È stato un periodo pieno di speranza, promesse ed entusiasmo e anche di una sana sana dose di ingenuità. Non avevamo idea di dove stessimo andando, ma sapevamo che stava succedendo qualcosa di positivo: è stato un periodo incredibile.

Quel disco, nella sua essenzialità, fu diverso da molto del rock che si sentiva nei primi anni 2000. Una scelta?
Vero, ma c’erano anche anche i White Stripes e gli Hives. Ad essere onesti non eravamo a conoscenza di nessuna scena. Penso che questo sia anche parte del motivo per cui ha avuto quel successo, perché ci è capitato di suonare e scrivere uno stile di musica che all'improvviso è diventato di moda e noi eravamo lì al momento giusto.

Però l’Australia ha sempre avuto una scena rock forte, ben oltre gli Ac/Dc: Radio Birdman, i Sain gli Hoodoo Gurus, i Died Pretty. Vi hanno influenzato?
In realtà no: eravamo giovani e il nostro viaggio musicale non era ancora iniziato. La più grande influenza furono gli You Am I, negli anni ’90. A Melbourne, la nostra città, c’era una bella scena che girava attorno ai pub: uscivamo ogni sera e guardavamo nuove band. In un certo senso prendevamo ispirazione più da questo di quanto stava succedendo all’estero. Eravamo nella nostra piccola bolla.

“Are You Gonna Be My Girl” fu la svolta. Oltre che nello spot della Apple finì al centro di una polemica perché si disse che assomigliava troppo a “Lust for life”. Cosa ricordi di quella storia?
Tutta la questione Iggy Pop l'ho sempre trovata un po' pigra, a dire la verità. Ovviamente sono consapevole delle somiglianze, ma quando stavamo lavorando a quella canzone ho sempre pensato ai ritmi della Motown, a canzoni come “You Can't Hurry Love”, semmai a “My generation”, “Walking on Sunshine" o a “A Town Called Malice”. Una canzone rock che potevi ballare: per me è solo un'altra in una lunga serie di canzoni che usano quel tipo di approccio. E, sì, “Lust for Life” è anche una di queste.

Perché celebrare quel disco proprio adesso? i 20 anni li ha compiuti l’anno scorso…
Ci sono stati altri momenti in cui pensavamo di farlo, ma questa volta è sembrato che  ci fosse una specie di allineamento planetario. Recentemente siamo stati celebrati dalla Hall of Fame del rock in Australia, io ci ho passato lì più tempo del solito  da 15 anni a questa parte e questo ci ha permesso di riconnetterci. Tutto questo ci ha anche spinto a  lavorare su nuovo materiale. Era il momento giusto per farlo prima che rischiasse di risultare noioso per noi ma anche per i fan.

Fu la pressione del successo a portare la band allo scioglimento?
Il successo è stato straordinario e ovviamente con quello arrivarono le pressioni. Ma il fattore più importante penso sia stata la morte del padre mio e di Chris (il fratello batterista, ndr) che ha gettato una grande ombra e ha cambiato ovviamente l'umore della band. "Shine On" è un grande album ma ha un umore più cupo di “Get Born”, per il nostro stato mentale di quel momento.

Nel 2010 ti sei trasferito in Italia e poi la band si è sciolta un paio di anni dopo. Cosa è successo?
Ero arrivato a un punto in cui le relazioni nella band su stavano deteriorando; come persona, come musicista, come artista non stavo andando avanti. Tutto stava iniziando a sembrarmi stantio. È stata una decisione difficile, ha significato allontanarmi dalla migliore possibilità che avevo di avere una carriera seria e di arrivare a un vasto pubblico. Ma era una scelta banale usare la band come come una stampella a cui appoggiarmi. L’unico modo era allontanarmi, fare nuove esperienze, correre dei rischi. Andare a vedere il mondo e cambiare la mia prospettiva sulle cose

Quanto sono stati importanti i Milano Elettrica in quella fase della tua carriera?
Quando è finita tutta la storia dei Jet non ho fatto molta musica per forse 5 anni, ero abbastanza confuso, ho girato per il mondo. Quando sono arrivato Milano ho conosciuto Sergio Carnevale e Daniel Plentz e tutti questi ragazzi: è stata una delle esperienze musicali più felici della mia vita, mi ha fatto ritrovare un amore puro per la musica, lontano dall'enorme macchina dei Jet. Un nuovo inizio in un nuovo paese con una nuova cultura e con una storia musicale incredibile che ho potuto esplorare: è stato così rinvigorente che sono stato in grado di uscire dalla mia ombra e innamorarmi di nuovo della musica.

Cosa ti ha spinto a riformare di nuovo i Jet? La prima volta successe nel 2017.
Nonostante tutto quello che ho detto, andarmene dai Jet non è stato facile, ma sentivo che era necessario. La tentazione c’è sempre stata. Abbiamo provato un paio di volte, come quando Bruce Springsteen ci ha chiesto di riformarci per suonare nel suo tour in Australia, nel 2017.

Springsteen che ti chiede di suonare per lui: un'offerta che non puoi rifiutare...
La cosa dei Jet che ho capito che la band è entrata in sintonia con molte persone in tutto il mondo: ragazzi e anche musicisti. Alcuni dei miei eroi si sono persino innamorati della mia band: una vera fonte di orgoglio. Quando qualcuno come Bruce Springsteen ti offre questa possibilità, non puoi non coglierla. È stato divertente ma poi rapidamente alcuni dei vecchi problemi hanno iniziato a ripresentarsi ed è stato chiaro che non era il momento giusto.

L’anno prossimo pubblicherete un nuovo album, il primo dopo 15 anni. È questo il momento giusto, quindi?
La mia più grande fonte di gioia al mondo è scrivere canzoni. Anche in questo caso c’è stato un allineamento planetario: c’era l'opportunità di entrare in uno studio a New York con Boots, il produttore di Beyoncé, e l'abbiamo colta. Un altro grande fan dei Jet: era in un club a New York, gli è capitato di sentire una conversazione con un nostro discografico dei primi tempi ed è intervenuto dicendo che gli sarebbe piaciuto lavorare con noi. È lì che è iniziato tutto.

Avete appena inciso una cover di Lucio Battisti: lo avete citato come fonte di influenza fin dall’inizio della storia della band. Come mai?
Mio padre aveva un sacco di cassette di Battisti, che ascoltavamo in macchina quando andavamo in vacanza con la famiglia - e i viaggi in Australia possono essere molto lunghi, così le abbiamo consumate. Nel caso di “Un’avventura” conosco la versione di Lucio Battisti ma mi sono ispirato a quella di Wilson Pickett, che la cantò a Sanremo nel ’69. È un po’ in inglese e un po’ in italiano e mi ci sono ritrovato. Avendo imparato l’italiano stando nel vostro paese,  mi sono identificato con quel tipo di dualismo, e mi sono chiesto come sarebbe venuta se l’avessero fatta i Jet.

I Jet tornano in una situazione molto diversa da quella dei primi anni 2000, un buon momento per il rock che oggi forse non c’è più. Cosa ti aspetti da questo ritorno e che spazio può esserci oggi per la band?
Sono ad un punto della mia vita in cui posso dire onestamente che non me ne frega davvero un cazzo. L'unica cosa importante è che quello che stiamo facendo deve essere fantastico ed onesto. Se funziona, allora sono felice e per me è un successo.

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